di Giovanni Russo Spena
Questi dialoghi di Rino Malinconico sono importanti per la ricostruzione di un senso collettivo e di una ricerca seria sulle ragioni della sconfitta elettorale del 13 e 14 aprile 2008; essi riescono, con grande lucidità e tempestività, con un metodo di condivisione, attraverso appunto l’espediente del dialogo, a mettere a tema i paradigmi fondativi di ipotesi di riflessione e lavoro politico che condivido molto. Alla sinistra anticapitalistica occorre, infatti, una "rivoluzione copernicana" (difficile perché "controcorrente", ma non impossibile, perché vi sono risorse intellettuali, sociali, morali). Sarà una lunga traversata nel deserto, all’opposizione, senza derive istituzionaliste e governiste. Con l'attenzione, spero, di non scambiare i miraggi ingannevoli, i cortocircuiti politicisti per oasi nelle quali riposare le stanche membra. Abbiamo vissuto, infatti, un sommovimento profondo e aspro, nelle viscere della società, che ha ridislocato altrove parti consistenti di quegli strati sociali che la sinistra ha l'ambizione di rappresentare.
La sconfitta elettorale, temo, viene da lontano; è l'espressione numerica di una crisi di rappresentanza che è anche crisi democratica. Se la crisi della sinistra ha una dimensione sociale e strutturale, non vi è "mossa del cavallo", invenzione politicista, che valga come risposta giusta ed efficace. Occorre scavare nelle cause profonde e non inventare percorsi (presunti ed inefficaci) di soluzioni immediate. Rischiamo, altrimenti, il definitivo declino. Non abbiamo saputo incontrare le masse di scontento, dolore, sofferenza sociale che squassano una società che affronta, in dimensioni drammatiche, per redditi, condizioni di vita e lavoro, la prima crisi della globalizzazione liberista e la democrazia dispotica e militarizzata che di essa è proiezione. Di fronte ai luoghi che bruciano, ai territori sconvolti, ai roghi del razzismo istituzionale (e popolare), alla solitudine operaia (che ha raggiunto, marxianamente, il livello massimo di alienazione e mercificazione) ci siamo illusi che fosse sufficiente "mimare" uno scontro di idee nelle aule istituzionali o sugli schermi televisivi. Siamo stati sconfitti, innanzitutto, nella società, perché venivano, dalla globalizzazione liberista, dalla "rivoluzione regressiva" del capitale, sconvolte le figure sociali, mentre precarizzazioni del lavoro e delle vite, delocalizzazioni industriali, intreccio tra economia legale e mafiosa, creavano, nella classe, vere e proprie mutazioni antropologiche, che scindevano i legami collettivi. L'emblema è rappresentato dai settori sindacalizzati, combattivi, di tanta parte della classe operaia del Nord (anche nelle fabbriche di grandi e medie dimensioni) che votano Lega: si forma, quasi, una nuova identità, non più di classe ma "plebea" (nell'accezione gramsciana) che si riconnette ad una presunta etnia, al territorio inteso, razzisticamente, come "esclusione" del "diverso", del migrante.
Questa paranoia è alla base della tremenda, contemporanea "guerra tra poveri", dove si smarrisce l'acquisizione del padrone come sfruttatore di tutte e tutti ed i "penultimi" scacciano gli "ultimi" nella paura, nelle insicurezze ossessive indotte dalla globalizzazione liberista. Le sinistre sono apparse, in questo processo di massa (e strutturale, che si ricollega ai processi di valorizzazione del capitale, alle forme ed ai modi dell'accumulazione contemporanea), del tutto ininfluenti. Una sinistra di mera opinione e autoreferenziale non ha antenne per "leggere" la società. Solo insediandosi di nuovo nei luoghi di lavoro e di vita, con una faticosa ricostruzione vertenziale "dal basso", possiamo riportare la politica di trasformazione nelle coscienze, nei corpi, nel senso di massa, da cui è stata espulsa. Lo spazio pubblico, in questa tempesta, non è mera rappresentazione istituzionale; esso può rivivere solo in rapporto alla società.
La sinistra (più che mai oggi) o è sociale o non è. Sono molto d'accordo con Marco Revelli: "una sinistra svaporata nell'astrattezza nulla può contro la destra sociale della Lega, di Tremonti, di Alemanno. La sinistra potrà ripartire solo se saprà "fare società"; e, soprattutto, costruire il proprio popolo ed il proprio linguaggio". Non mero movimentismo banale, ma una nuova statualità alternativa, evitando partiti contenitori o partiti plebiscitari.
La nostra riflessione non potrà eludere un secondo grande tema, collegato, che costituisce parte importante della riflessione di Rino Malinconico: la concezione stessa del partito comunista contemporaneo, delle sue forme, dei suoi modi d'essere, dei suoi sistemi di relazione. Penso ad un "partito sociale", il coordinamento di un sistema a rete (in cui Rifondazione Comunista, il partito in cui milito, viva come realtà organizzata, insieme alle altre soggettività politiche, culturali, di movimento, associazionistiche). Un sistema a rete che abbatta verticismo e gerarchia ed esalti l'orizzontalità, il mutualismo, la "confederalità dal basso": attraversando il territorio non come luogo dell'esclusione, ma come luogo della relazione, della convivialità, del mutuo soccorso. Dovremo saper far vivere la rete diffusa del "saper fare sociale". I luoghi sul territorio possono essere le "case della sinistra", da costruire subito ed ovunque; così nasce l'incontro tra le differenti soggettività, lottando insieme contro il governo delle destre introducendo all'interno dell'opposizione elementi di programmi anticapitalisti. Non esistono solo i partiti; l'innovazione culturale passa attraverso la piena consapevolezza, il riconoscimento, che esiste, quotidianamente e in ogni dove, tanta politica diffusa al di fuori dei partiti. La tendenza è internazionale, globale: i movimenti acquistano sempre più una dimensione politica; i partiti, se non si trasformano in presidi di democrazia ed organizzatori del conflitto, si riducono, con una deriva burocratica, a ceti politici di rappresentanza.
La nostra capacità innovativa si ricollega alla necessità di ricostruire senso, linguaggio, popolo, attraverso una visione del mondo, un punto di vista alternativo sulla società, una fitta trama di valori condivisi. Non a caso ci troviamo, oggi, a vivere uno "stordimento" della nostra umanità, che genera quello "sciame inquieto" che Bauman descrive.
Non so quale porto raggiungeremo; so che è importante intraprendere il viaggio, la nuova ricerca della società "dentro e contro" la globalizzazione liberista. I "dialoghi" di Rino Malinconico ci indicano la rotta.
Giovanni Russo Spena
venerdì 20 giugno 2008
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